È risaputo che quando si intraprende un processo è necessario mettere in preventivo di dover pagare le c.d. spese processuali. Qualsiasi causa, infatti, per quanto possa essere “sicura”, non è mai certa. Certo, è sicuramente vero che in determinate circostanze è possibile richiedere ed ottenere il patrocinio gratuito, ma se le condizioni economiche non lo permettono, è importante porsi il problema delle spese processuali. Inoltre, in molti si chiedono se all’esito del processo sia necessario pagare non solo le proprie spese processuali ma anche quelle sostenute da controparte. Ebbene, il timore è più che fondato. In poche parole, all’esito del giudizio il giudice addebita tutte le spese legali alla parte cosiddetta soccombente (ovvero chi perde). Si tratta della c.d. condanna alle spese processuali.
Solo in casi eccezionali il giudice può disporre la compensazione delle spese, ovvero ogni parte paga il proprio difensore. In genere ciò avviene quando sussistono gravi motivi, nel caso in cui la questione oggetto del contendere sia nuova, o ha creato particolari problemi in giurisprudenza o, infine, quando le rispettive domande vengono accolte o rigettate in parte.
Spese processuali in materia previdenziale e assistenziale
Nelle cause aventi ad oggetto controversie previdenziali (si pensi alle pensioni ad esempio) ed assistenza (invalidità civile, accompagnamento etc), esiste una regola generale che ha come scopo quello di tutelare coloro che non hanno disponibilità economiche. Il codice di procedura civile, più precisamente l’art. 152 disposizioni attuative, stabilisce che chi possiede un reddito pari al doppio della soglia fissata per accedere al cosiddetto gratuito patrocinio (ad oggi fissata in euro 11.493,82) ovvero 22.987,64 euro, non deve pagare le spese processuali in caso di soccombenza. In pratica, nel caso in cui si dovesse perdere la causa, il giudice non potrebbe in nessun caso addebitare il costo dell’avvocato di controparte.
Tuttavia, occorre precisare che, per poter usufruire del suddetto beneficio è fondamentale presentare, nel corso del processo un’apposita dichiarazione mediante la quale si dichiara il proprio reddito.
Ricorso contro inps accompagnamento
Contro i provvedimenti dell’INPS che non riconoscono l’invalidità civile, la sordità, la cecità, la disabilità etc, oppure contro i verbali della commissione medica che, nonostante abbiano accertato l’invalidità, non riconoscano l’indennità di accompagnamento, è possibile presentare apposito ricorso al giudice.
Tuttavia, occorre precisare che lo strumento necessario da utilizzare, prima di intraprendere la causa, il cosiddetto accertamento tecnico preventivo. Grazie a quest’ultimo, infatti, è possibile far accertare da un medico (appositamente nominato dall’autorità giudiziale) l’invalidità e il relativo diritto alle prestazioni di natura assistenziale.
Ricorso contro INPS assegno sociale
L’assegno sociale è una prestazione assistenziale, ovvero, un sussidio che prescinde da qualsiasi versamento contributivo. Si tratta, più precisamente, di un aiuto concesso dall’ordinamento a tutte quelle persone anziane che vessano in stato di difficoltà economica a causa del basso reddito dichiarato. Per poterne usufruire è necessario presentare l’apposita domanda presso le sedi INPS oppure presso le sedi CAF presenti sul territorio. Ma cosa è possibile fare nel caso in cui la domanda dovesse essere rigettata?
Ebbene, esiste nel tessuto ordinamentale un apposito strumento di tutela ovvero il ricorso amministrativo. In poche parole, il soggetto interessato è tenuto, entro 90 giorni dalla data di ricevimento della lettera con la quale viene comunicato il rigetto, a presentare apposito ricorso presso il comitato provinciale dell’INPS.
Ricorso contro inps per restituzione somme
Molto spesso capita che l’INPS notifichi le cosiddette cartelle di pagamento per richiedere la restituzione di somme indebitamente percepite negli anni addietro. In genere si tratta di atti privi di qualsiasi motivazione e che richiedono solamente il pagamento delle somme percepite indebitamente. Ovviamente esistono degli appositi strumenti per potersi tutelare da tali atti. Più precisamente, contro le cartelle di pagamento è possibile presentare ricorso amministrativo presso il comitato provinciale INPS. Qualora tale ricorso non venga presentato si decade da ogni diritto. Una volta spirati i 90 giorni dalla presentazione dello stesso è possibile ricorrere dinanzi al giudice competente entro 180 giorni. In conclusione, è bene sottolineare che tutti i termini sono cosiddetti “perentori” questo significa che, se non rispettati, non si avranno mezzi per poter contestare la pretesa creditoria.
Ricorso contro inps per pensione
Contro tutti i provvedimenti emanati in materia di pensione, anche in regime internazionale, l’ordinamento prevede una pluralità di tutele di natura amministrativa. I rimedi amministrativi, inoltre, sono utilizzabili dai pensionati anche per questioni attinenti il TFS (trattamento di fine servizio) o il TFR (trattamento di fine servizio).
Il tipico strumento utile per poter tutelare la propria pensione è il cosiddetto ricorso amministrativo. In poche parole, si tratta di un’istanza rivolta ad ottenere la tutela di una situazione giuridica soggettiva che si suppone essere stata lesa da un atto emesso dall’istituto.
Fatte le debite premesse, occorre ora capire a chi presentare il ricorso ed entro quanto. In genere i termini variano a seconda del Comitato chiamato a dirimere la controversia. Tuttavia, in linea generale il ricorso deve essere presentato entro tre mesi dalla ricezione del provvedimento che si intende impugnare. In caso di silenzio rigetto, il termine di 90 giorni decorrono dal 121 giorno successivo al quello di presentazione della relativa domanda.
Infine, occorre precisare che la domanda deve essere presentata esclusivamente mediante una delle seguenti modalità: online, mediante il sistema SPID, oppure tramite il patronato.
Ricorso giudiziario contro inps: termini
Per poter convenire in giudizio l’INPS è fondamentale rispettare i termini di decadenza. Più precisamente, l’art. 47 del DPR 30 aprile del 1970 n. 639 prevede tre diversi criteri di decorrenza dei termini, (tre anni, o di un anno, a seconda della tipologia di prestazione erogata dall’INPS). Più precisamente: dalla data di comunicazione della decisione del ricorso, dalla data di scadenza del termine stabilità per la pronuncia di detta decisione, dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del provvedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
In base a quanto detto, il termine (o triennale o annuale) di decadenza decorre dopo 300 giorni dalla presentazione della domanda amministrativa.
Avvocati per cause contro inps: a chi rivolgersi
Se si ha intenzione di intraprendere una causa legale verso l’INPS è fondamentale avere al proprio fianco un avvocato esperto nel settore tributario. Questo perché, in generale, le controversie si rivelano essere piuttosto tecniche. In poche parole, è di cruciale importanza rivolgersi ad avvocati tributaristi in modo da avere un professionista del settore su cui poter contare e con concordare la strategia difensiva migliore.