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Gennaio 20, 2020 da mirkonos_7g1c9i29

Cartella esattoriale coniugi separati: chi risponde?

“Sono in procinto di separarmi consensualmente da mio marito, il quale ha contratto debiti con lo Stato che, molto probabilmente, non riuscirà a onorare: può Equitalia rivalersi sul mio patrimonio?”: se anche tu vuoi una risposta a questa domanda continua a leggere il nostro articolo…

Il coniuge separato risponde ai debiti dell’altro?

Tutto dipende dal regime patrimoniale che intercorrente tra moglie e marito.

In linea di massima, i debiti contratti dal marito non intaccano i beni di esclusiva proprietà della moglie (e viceversa): i beni personali potranno al più rispondere, per un valore pari a metà del credito, delle obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia, ossia dei debiti concernenti la comunione dei beni.

Tutti i beni cointestati, anche se in regime di separazione dei beni, sono invece pignorabili per i debiti anche di uno solo dei due: il pignoramento però, anche in questo caso, si limiterà al 50% del bene stesso.
Quindi, se su un conto corrente cointestato a moglie e marito sono disponibili 4mila euro, l’Agenzia Entrate Riscossione può pignorare fino a massimo 2mila euro.

Qualora invece sussista un regime di comunione dei beni a rischiare è anche il conto corrente intestato esclusivamente alla moglie: ulteriore frangente, però, nel quale il pignoramento può essere di massimo il 50%.

Qualora invece i beni siano in comunione legale essi sono aggredibili per intero e non solo per metà.

Tuttavia, ritornando alla questione di apertura, se moglie e marito hanno intrapreso una separazione si determina la cessazione dell’eventuale regime di comunione legale dei beni, e dunque anche delle conseguenze appena citate.

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Se il debito è stato contratto prima del matrimonio?

Restano a capo del coniuge che li ha contratti quei debiti che sono stati accesi prima del matrimonio, quali:

  • obbligazioni (anche se contratte successivamente al matrimonio ma prima della comunione legale -qualora i coniugi abbiano scelto prima la separazione dei beni e in un secondo momento la comunione-);
  • debiti che gravano su beni donati o ricevuti per successione e che non siano in comunione;
  • debiti assunti dopo il matrimonio da uno dei due senza il consenso dell’altro;
  • debiti assunti nell’esercizio della professione o dell’impresa del coniuge, o per l’acquisto di beni personali;
  • obbligazioni derivanti da un fatto illecito commesso dal coniuge.

In tutte queste circostanze viene aggredito il patrimonio personale del coniuge debitore, e solo nel caso in cui questo non sia sufficiente per il saldo i creditori potranno aggredire i beni appartenenti alla comunione, ma solo per un massimo del 50%.

cartelle esattoriali coniugi separati

Pignoramento immobiliare nella separazione dei beni

Vediamo il caso specifico della casa che marito e moglie possiedono.

Il pignoramento della casa in comunione dei beni oppure cointestata ai coniugi in separazione dei beni (che comunque può avvenire solo se il debito supera 120mila euro e il valore dell’immobile è superiore anch’esso alla stessa somma) può coinvolgere solo il 50% del suo valore: dunque, venduto l’immobile, metà del ricavato va restituito al coniuge non debitore.
La casa cointestata non può invece essere pignorata se rappresenta l’unico immobile di proprietà del debitore e se funge da luogo di residenza.

Qualora invece la casa sia interamente intestata alla moglie in regime di comunione dei beni essa può essere pignorata per saldare i debiti contratti dal marito, ma per massimo la metà del suo valore.

Ultimo caso: separazione dei beni.

Se la casa è intestata al coniuge non debitore, i creditori non possono pignorarla. Al contrario, se la casa è di proprietà del debitore, i creditori possono pignorarla interamente.

Cosa accade invece quando una coppia si separa (per poi divorziare)?

La moglie rinuncia al mantenimento in cambio della proprietà dell’immobile, che viene dunque salvato dal pignoramento: infatti l’accordo poi viene presentato al giudice che lo convalida, la sentenza del giudice viene trascritta nei pubblici registri immobiliari e ha valore al pari di un atto di donazione. In questo modo, i creditori non troveranno più la casa e quindi non potranno aggredirla.

Attenzione però perché esistono diverse sentenze che hanno revocato la separazione per simulazione, qualora sia stato accertato l’intento fraudolento della coppia che continuava a vivere sotto lo stesso tetto pur a fronte di una residenza in posti diversi.

Se anche tu sei in procinto di separarti ma hai bisogno di capire cosa fare nel caso in cui il tuo ex marito o la tua ex moglie abbiano contratto un debito e abbiano ricevuto una cartella esattoriale, rivolgiti ad uno dei nostri legali professionisti specializzati in diritto tributario e richiedi una prima consulenza. Compila il formulario o clicca sul pulsante verde qui sotto.

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Gennaio 20, 2020 da mirkonos_7g1c9i29

Cartella esattoriale defunto: il debito ricade sugli eredi?

Rottamazione cartelle defunto: come si devono comportare gli eredi?

Non è raro vedere, anche nelle migliori famiglie, fratelli e familiari vari contendersi i pezzi dell’eredità del caro estinto: ma cosa accade se oltre lasciti immobiliari e non, il defunto aveva contratto dei debiti rimasti insoluti? Le cartelle esattoriali di colui che passa a miglior vita che fine fanno?

I debiti fiscali si trasmettono agli eredi?

La cattiva notizia è che agli eredi vengono trasmessi, oltre gli onori, anche gli oneri: vale a dire che imposte e tasse si trasferiscono ai familiari salvo la rinuncia all’eredità.
Tale rifiuto, tra l’altro, deve avvenire nei 10 anni successivi all’apertura della successione.

Dunque, il debitore diventa quindi l’erede, costretto a rispondere in prima persona con il proprio patrimonio dei debiti contratti dal congiunto con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, per cartelle di pagamento non estinte.

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La responsabilità degli eredi per i debiti fiscali del defunto?

L’Agenzia delle Entrate Riscossione può chiedere l’integrale pagamento di una cartella anche ad uno solo degli eredi (ma questi potrà poi rivalersi nei confronti degli altri coeredi): ma cosa nello specifico può esigere l’ente di riscossione?

Può richiedere la corresponsione delle imposte evase dal defunto ma non le sanzioni, che quindi non si trasferiscono mai agli eredi.

In pratica, se nella cartella l’importo è dato dalla somma dell’imposta evasa e della sanzione per l’omesso versamento, quest’ultima parte sarà risparmiata agli eredi.

In che modo?

È sufficiente che questi presentino un’istanza in autotutela da inviare sia all’Agenzia che all’ente titolare del credito (per esempio, nel caso di omesso versamento dell’Irpef o IVA all’Agenzia delle Entrate; nel caso di omesso versamento di imposte locali, al Comune o alla Regione; etc.).

E questo anche se il contribuente deceduto aveva in corso un piano rateale di pagamento non ancora concluso. Per cui possono essere richieste solo le sanzioni dovute per le rate non versate nei termini dopo la morte del congiunto.

Attenzione però: l’istanza in autotutela non sospende i termini per impugnare la cartella davanti al giudice (che, nel caso di multa stradale, è di 30 giorni; nel caso di imposte è di 60 giorni; nel caso di contributi previdenziali è di 40 giorni). Così, se l’Agenzia delle Entrate Riscossione non dovesse rispondere nei tempi, l’erede deve procedere ugualmente al ricorso davanti al giudice competente, perché in caso contrario la cartella diventerebbe definitiva e non ci sarebbe più modo per farla annullare.
E ciò significherebbe per l’erede vedersi costretto a pagare l’intero importo anche se non dovuto.

cartella esattoriale defunto

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Comunicazioni necessarie degli eredi alla morte del parente: cosa succede se non viene riferita?

Un altro frangente che esclude il pagamento della cartella da parte degli eredi è una notifica eseguita non correttamente.

A morte avvenuta, la cartella deve essere notificata, presso l’ultimo domicilio del defunto, agli eredi impersonalmente. In pratica, sulla busta dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, nella sezione relativa al destinatario, non vi deve essere il nome e cognome del contribuente trapassato, ma la dizione “Eredi del sign…”. Se la cartella è indirizzata ancora al contribuente deceduto, la notifica è nulla.
A meno che non sia trascorso 1 anno dal decesso del contribuente, termine oltre il quale la notifica andrà fatta personalmente ai singoli eredi, e quindi presso il loro indirizzo e con il rispettivo nome indicato sulla busta.

Qualora invece gli eredi comunichino all’Agenzia delle Entrate e ad Agenzia delle Entrate Riscossione il decesso del contribuente, la notifica della cartella, da effettuarsi non prima di 30 giorni dalla comunicazione, andrà eseguita personalmente, e non all’ultimo domicilio del caro estinto e impersonalmente a tutti gli eredi.

Un altro modo per salvaguardarsi da un’eredità inficiata da debiti è l’accettazione
con beneficio di inventario, per mezzo della quale i creditori potranno aggredire solo i beni ottenuti in eredità e non anche quelli personali dell’erede.
In ultima istanza si possono scansare le cartelle esattoriali per debiti del defunto rinunciando all’eredità, cosa che può avvenire solo dopo l’apertura della successione e mai prima, e sempre che non la si sia già accettata.

Quindi è bene, prima di acconsentire all’eredità, verificare la situazione debitoria del defunto facendosi consegnare un estratto di ruolo dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, per verificare a quanto ammontano le pendenze insolute, e rinunciare nel caso in cui siano eccessive (a patto che non siano decorsi 10 anni dalla morte, o che non sia già in possesso dei beni del defunto, che dispone di solo 3 mesi dall’apertura della successione per redigere l’inventario e altri 40 giorni per comunicare se intende rinunciare all’eredità o accettarla con beneficio di inventario).

Per formalizzare la rinuncia bisogna presentare ad un notaio o un cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione una dichiarazione di rinuncia.

Prescrizione cartelle defunto

In ultima istanza un consiglio agli eredi: controllare sempre la prescrizione delle cartelle, perché trattandosi di debiti “datati” potrebbero essere ormai scaduti.
Se vi trovate in questa situazione e avete bisogno della consulenza legale di un avvocato tributarista potete compilare il formulario che trovate in questa pagina cliccando semplicemente sul bottone verde che trovate qui sotto.

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Gennaio 20, 2020 da mirkonos_7g1c9i29

Cartelle esattoriali: rateizzazione da 72 a 120 rate

La crisi economica ha fiaccato molti e non è infrequente che sia contribuenti privati che imprese non riescono a liquidare immediatamente i pagamenti dovuti; tuttavia, se la difficoltà si protrae oltre i 60 giorni ordinari, è possibile richiedere una rateizzazione della cartella esattoriale all’Agenzia Entrate Riscossione.

È necessario a tal fine presentare una specifica richiesta, l’istanza di rateazione, che consente appunto di suddividere il debito in più quote: vediamo però quali sono le novità dal punto di vista normativo.

Come funziona il processo di rateizzazione

Esistono due processi di rateizzazione:

1) ordinario, che si caratterizza per:

  • un’applicazione per debiti non superiori ai 50.000€;
  • una dilazione massima in 6 anni (per un totale di 72 rate mensili);
  • la sola necessità di denuncia di “temporanea situazione di obiettiva difficoltà” senza null’altro da allegare. Se però il debito è maggiore di 50.000€, invece, la situazione di difficoltà richiede adeguata documentazione.

2) straordinario, che si caratterizza per:

  • una rateizzazione decennale, per un massimo di 120 rate mensili (di importo non inferiore a 100 euro);
  • la necessità che il contribuente dimostri delle condizioni economiche di grave indigenza indipendenti dalla sua responsabilità. In particolare, un cittadino è indigente, e quindi può avere accesso al piano straordinario, se incapace di pagare una rata che supera del 20% il reddito mensile del proprio nucleo familiare, da documentare attraverso l’ISEE. Nel caso in cui si tratti di un’impresa il rapporto tra cifra della rata e valore della produzione deve essere superiore al 10% e l’indice di liquidità compreso tra 0,50 e 1;
  • l’obbligo di presentare un’istanza motivata all’agente della riscossione.

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Rateizzazione delle cartelle esattoriali

I diversi tipi di piani di rateizzazione (72/120 rate)

Qualora le circostanze appena descritte non sussistano sarà possibile accedere solo al sistema ordinario, sempre praticabile anche nel caso in cui la richiesta di rateazione straordinaria avanzata dal contribuente venga respinta.

Sia il sistema ordinario che straordinario possono beneficiare di una proroga, se ovviamente ne sussistono i requisiti, con un incremento rispettivamente di altre 72 o 120 rate.

Inoltre, grazie al Decreto sulle semplificazioni tributarie:

  • il piano di dilazione scelto può essere a rate variabili e crescenti anziché a rate costanti;
  • l’agente della riscossione non può iscrivere ipoteca nei confronti di un contribuente che ha chiesto ed ottenuto di pagare a rate. L’ipoteca è iscrivibile solo se l’istanza è respinta o se il debitore decade dal beneficio della rateazione, cosa che accade qualora non vengano corrisposte 8 rate, anche non consecutive (anziché 2 rate consecutive, come previsto nel precedente regime);
  • il contribuente che ha ottenuto la rateazione può partecipare alle gare di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi.

Qualora si decada dal beneficio:

  • l’agente della riscossione può esigere il restante importo immediatamente ed automaticamente in un’unica soluzione;
  • è possibile iscrivere ipoteca sugli immobili del contribuente e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo al dovuto;
  • il debito non può essere più rateizzato.

Nel momento in cui l’istanza di rateizzazione venisse negata, il contribuente può impugnare il provvedimento: in precedenza l’impugnazione poteva avvenire solo innanzi al Tar, mentre recentemente la Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione delle commissioni tributarie.

Rateizzazione da 72 a 120 rate: come fare domanda

La rateizzazione delle cartelle deve essere richiesta inviando il modulo di domanda tramite raccomandata o consegnandolo presso gli sportelli dell’Agenzia Entrate Riscossione presenti sul territorio.
Per le cartelle che non superano i 60.000€ la rateizzazione può essere richiesta anche online.

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Quando decadono le cartelle esattoriali?

La riposta a questa domanda presuppone che si chiarisca innanzitutto il tipo di tributo o sanzione di cui si chiede il pagamento: i termini di prescrizione variano infatti da 10 a 3 anni.

Ad esempio, si prescrivono dopo 10 anni le cartelle per debiti:

  • Irpef;
  • Iva;
  • Irap;
  • imposta di registro e ipocatastale;
  • multe stradali, ma solo nel caso in cui il contribuente avanzi ricorso e perda la causa; in caso contrario le contravvenzioni per violazione del codice della strada e le altre sanzioni amministrative si prescrivono in 5 anni;
  • Canone Rai;
  • diritti di iscrizione alla Camera di Commercio.

Si prescrivono in 5 anni (ma anche in questo caso il ricorso fa allungare la prescrizione a 10 anni, anche qualora si perdesse la causa) le cartelle per:

  • l’imposta sui rifiuti;
  • le imposte sulla casa (ancora una volta vale la regola del ricorso)
  • Tarsu e Tosap;
  • Inps e Inail.

Si prescrive in 3 anni:

  • il bollo auto (a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello del pagamento).

A chi rivolgersi per rateizzare le cartelle esattoriali?

Se avete ricevuto una cartella esattoriale e avete la necessità di rateizzarla ma non sapete come fare e con quale delle procedure possibili a disposizione, potete rivolgervi ad un avvocato tributarista che si occupa proprio di questo (per approfondire potete leggere la nostra risorsa relativa alla figura dell’avvocato tributarista), compilando il formulario che trovi in questa pagina o cliccando sul bottone verde.

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Gennaio 20, 2020 da mirkonos_7g1c9i29

Cartella MAI notificata. Fatti aiutare da un avvocato esperto

Affinché il contribuente sia costretto al pagamento di una cartella esattoriale è necessario che questa sia stata notificata. E dunque cosa accade quando questo non avviene? Come deve comportarsi il contribuente per salvaguardarsi?

Cartelle esattoriali atti non notificati: è possibile fare ricorso?

La prima forma di tutela che il cittadino può adoperare è la richiesta dell’estratto di ruolo all’agente della riscossione, che contiene gli eventuali debiti del contribuente.
Il documento è gratuito e permette di sapere in tempo reale se ci sono cartelle esattoriali aperte a proprio nome.

Qualora queste ultime risultino iscritte ma il soggetto dubiti dell’avvenuta notifica, può richiedere formalmente a Equitalia di provare l’avvenuta consegna della cartella di pagamento, presentando domanda di accesso agli atti amministrativi in carta semplice direttamente agli sportelli dell’agenzia o tramite PEC.
Oppure può decidere di presentare ricorso per via giudiziaria, ma solo entro 60 giorni dal ricevimento dell’estratto di ruolo, e solo se sia assolutamente certo che la cartella non è mai stata consegnata: in caso contrario si sarebbe costretti a pagare non soltanto il debito con Equitalia, ma anche le spese processuali.

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Cartelle non notificate: entro quanto tempo fare ricorso?

Ma quando è possibile presentare ricorso?

Quando ad esempio la notifica risulti viziata, come potrebbe accadere nel caso in cui la cartella venga portata al vecchio indirizzo o consegnata a un soggetto non legittimato al ritiro.

Questo perché, per considerarsi valida, la notifica deve essere eseguita:

  • per raccomandata a.r.: in tal caso, la consegna è curata dal postino ed è dimostrata dal
  • l’avviso di ricevimento;
  • per posta elettronica certificata: in tal caso, la notifica è valida solo se il contribuente rientra tra quei soggetti (imprese e
    professionisti) tenuti ad avere una Pec per legge;
  • per consegna a mano: in tal caso la notifica è curata dal messo notificatore del Comune il quale compila la cosiddetta «relata di
    notifica», la quale deve essere posta alla fine della cartella (mai
    sull’intestazione) e debitamente firmata dall’ufficiale
    giudiziario, con la descrizione delle operazioni da questi
    eseguite.

Inoltre, per essere ritenuta valida, la notifica deve avvenire all’indirizzo di residenza del contribuente. Oppure in qualsiasi altro luogo purché il contribuente la riceva effettivamente (quindi, anche per strada, giusto a titolo esemplificativo).

Se invece la raccomandata viene fatta firmare ad un’altra persona, la notifica non è più valida.

La cartella notificata a casa quando il contribuente è momentaneamente assente viene poi lasciata in Comune o all’ufficio postale, ma è necessario che:

1. il postino o il messo notificatore lasci, nella cassetta delle lettere del destinatario, un avviso con cui gli comunica di essere passato
2. venga spedita una seconda raccomandata con la quale il messo o il postino comunichino di aver depositato la cartella esattoriale al Comune o all’ufficio postale
3. la cartella resti 30 giorni al Comune o alla posta, dopo di che si considera perfezionata anche se nessuno la ritira.

È poi necessario che l’esattore conservi non solo gli originali della prima raccomandata ma anche della seconda, pena la nullità della notifica.

cartella esattoriale mai notificata

Cartella esattoriale non notificata opposizione: come si fa?

Dunque, se una cartella non è mai stata notificata oppure notificata in modo scorretto, allora è sempre possibile impugnarla, tramite anche l’aiuto di un avvocato specializzato in diritto tributario.

Tuttavia, se si ammette di aver ricevuto la cartella, il ricorso viene rigettato: ad esempio, se il postino consegna la cartella al dirimpettaio (cosa non consentita che decreta la nullità della cartella), qualora il contribuente la impugnasse dimostrerebbe di averne avuto conoscenza e quindi il ricorso non potrebbe essere accettato.

È pertanto necessario che attenda il successivo atto dell’Esattore (ad esempio un pignoramento o un preavviso di ipoteca) e, solo in quella sede, avanzi ricorso per non aver mai ricevuto la cartella di pagamento.

Cartella non notificata: eccezione di prescrizione

Non c’è invece da preoccuparsi nemmeno di chiedere l’estratto di ruolo o di avanzare ricorso giudiziario qualora la cartella, sebbene mai notificata, sia già caduta in prescrizione.

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Gennaio 20, 2020 da mirkonos_7g1c9i29

Cartella di pagamento per bollo auto: come fare

Chiunque possieda una macchina, indipendentemente dal fatto che la utilizzi o meno per circolare, è tenuto a versare ogni anno una tassa; ma cosa accade se il bollo auto non viene pagato?

Accade che la Regione (o l’Agenzia delle Entrate nel caso di Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia, che godono di statuto speciale) invii al debitore una raccomandata o una PEC (quest’ultimo caso qualora si tratti di aziende o professionisti) con avviso di pagamento.

Ecco una delle tante tipologie di cartelle esattoriali che ti può essere notificata, ma vediamo più nel dettaglio.

Nel giro di 60 giorni il contribuente può avanzare contestazione.

Coloro che non sono tenuti al pagamento (ad esempio chi ha già pagato o magari ha venduto l’auto) possono presentare un’istanza in autotutela.

Se invece coloro che dovrebbero pagare perdurano nel non farlo, la Regione (o l’Agenzia delle Entrate) iscrive a ruolo l’imposta e chiama in causa l’Esattore (Agenzia Entrate Riscossione) affinché effettui un’esecuzione forzata.
Due sono gli anni che l’Agenzia ha a disposizione per notificare la cartella di pagamento, tramite messo notificatore del Comune, raccomandata a.r. o PEC: in caso contrario, il debito decade e il contribuente non è più tenuto al pagamento.

Avvenuta la notifica si hanno 60 giorni per il ricorso, che va prima spedito all’Agenzia stessa e poi, se entro 90 giorni questa non ha prodotto risposta, alla Commissione Tributaria Provinciale.

cartella di pagamento per bollo auto

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Cartella esattoriale tassa automobilistica: cosa succede

Cosa succede invece se il contribuente non paga la cartella per il bollo auto né presenta ricorso?

Accade che, trascorsi 60 giorni dalla consegna della cartella, l’esattore può avviare un pignoramento e/o il fermo auto (misura che impedisce la circolazione del mezzo).

In quest’ultimo caso è però necessario che il contribuente riceva una comunicazione 30 giorni prima che il fermo venga effettivamente attuato, di modo che, in questo lasso di tempo, abbia la possibilità di:

  • pagare, ed evitare il fermo;
  • chiedere una dilazione di pagamento;
  • dimostrare che il mezzo è indispensabile per l’esercizio di una professione o di un’attività imprenditoriale;
  • provare che il mezzo è cointestato.

Qualora nessuna delle ipotesi di cui sopra venga soddisfatta, è doveroso ricordare che la circolazione in caso di fermo è reato, e che l’interessato riceve solo il preavviso di fermo e non anche la conferma (per cui è a lui che spetta accertarsi, dopo il ricevimento del preavviso, se e quando il fermo diventa effettivamente esecutivo).

Anche dopo che il fermo sia scattato è possibile arginare la situazione: basta accedere alla dilazione e pagare la prima rata dell’importo totale per tornare a circolare (sarà necessario farsi rilasciare una quietanza dall’Agenzia Entrate Riscossione e presentarla al Pra – Pubblico Registro Automobilistico – che provvede alla sospensione temporanea); tuttavia la cancellazione definitiva avviene solo a debito interamente saldato.

Lo stesso dicasi anche in caso di pignoramento già avviato, fatta eccezione per quello del conto corrente, che può essere sbloccato solo nel caso in cui venga corrisposto l’intero debito (che quindi non può essere rateizzato) entro 60 giorni dalla predetta notifica.

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Prescrizione della cartella di pagamento del bollo auto

La prescrizione della cartella esattoriale per bollo auto si compie in tre anni, ed è automatica (dunque non necessita di adempimenti da parte del debitore).
I termini per la prescrizione si calcolano a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui il pagamento è dovuto e scade il 31 dicembre del terzo anno.

La prescrizione riguarda sia l’imposta in sé che la cartella di pagamento, per cui:

  • se il contribuente riceve l’avviso di accertamento per il mancato versamento del bollo auto dopo i tre anni, è già scattata la prescrizione e non sono dovuti pagamenti;
  • se il contribuente riceve la cartella di pagamento dopo 3 anni dall’avviso di accertamento, la prescrizione è già ugualmente attivata.

A chi rivolgersi e come scegliere l’avvocato giusto

Se ti è stata notificata una cartella per il mancato pagamento del bollo auto, puoi rivolgerti ad un avvocato tributarista specializzato proprio nell’affrontare questioni legate al pagamento dei tributi. Ti mettiamo a disposizione i migliori legali del settore della tua zona che ti aiuteranno a risolvere il tuo problema nel minor tempo possibile e a prezzi calmierati.

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